Per la rassegna #LavoroConDignità, è con immenso piacere che propongo un’analisi sul calcolo del tasso di disoccupazione, perché è un argomento che mi sta molto a cuore.
L’ISTAT ci propone una definizione di disoccupati, che riporto qui di seguito:
Le persone non occupate tra i 15 e i 74 anni che:
definizione presa dal Glossario dell’ISTAT
– hanno effettuato almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nelle quattro settimane che precedono la settimana a cui le informazioni sono riferite e sono disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive;
– inizieranno un lavoro entro tre mesi dalla settimana a cui le informazioni sono riferite e sarebbero disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive, qualora fosse possibile anticipare l’inizio del lavoro.
Questa definizione, oltre che dall’ISTAT, viene utilizzata anche dall’Eurostat (a cui l’ISTAT contribuisce) e desta non pochi dubbi, perché non tiene conto di due categorie di persone: i sottoccupati e gli scoraggiati. I primi, sarebbero le persone che lavorano meno ore di quanto vorrebbero lavorare; i secondi, sarebbero le persone che non lavorano e vorrebbero lavorare, ma hanno rinunciato. Due categorie di persone devastanti per qualsiasi politica sul lavoro e che alterano parecchio i dati sulla disoccupazione, per un semplice motivo: non contano come disoccupati. Un’illusione ottica che, per i media e per i politici, è una manna dal cielo! E lo è perché gli permette di non far esplodere il malcontento sociale, sbandierando dati sulla disoccupazione sottostimati.
Info utili su come si misura la disoccupazione
Giusto un paio di esempi per capirci:
- ti assumono per un mese e poi ti licenziano; poi ti assumono per due mesi e ti licenziano. Infine, ti assumono per un altro mese e ti licenziano. Tu hai lavorato per 4 mesi in un anno, però il Ministro del Lavoro va dal gruppo Gedi, Cairo, Mondadori o Rai e riporta i contratti, anziché le persone. Risultato: tu, magicamente, per la propaganda sei 3 occupati;
- se, grazie a politiche sul lavoro (come il reddito-di-cittadinanza ad esempio), le persone cominciano a cercare lavoro più attivamente, cresce il dato sulla disoccupazione, perché cresce il numero delle persone appartenente alla definizione riportata sopra: cioè, da inattive diventano attive.
Se continuassimo con questo ragionamento, potremmo scoprire che in Italia, nel 2016, il tasso di disoccupazione totale era al 39% e non attorno al 12%, come ci raccontava il circo mediatico. Inoltre questa riflessione ci può chiarire, ancora di più, perché l’aver reso flessibile il mercato del lavoro e peggiorato le condizioni di lavoro, abbia un doppio beneficio per il potere: puoi pagare di meno i lavoratori e in più, scoraggiando le persone a cercare lavoro, fai un favore statistico alla politica. Quindi non è solo colpa tua se non trovi un lavoro, o un lavoro che ti soddisfi: è un intero sistema socio-culturale che ha perso completamente il raziocinio. Stai tranquillo/a e pensa a stare bene 🙂
Per chiudere in bellezza e come di consueto, una lista di contenuti ultra-interessanti:
- sul senso di avere, ancora oggi, un orario di lavoro;
- il calcolo del tasso di disoccupazione, in teoria e in pratica;
- calcolo scorporato della disoccupazione, sottoccupazione e scoraggiati, al 2016;
- dopo gli U2, gli U6… le definizioni di disoccupazione del Bureau of Labor Statistic;
- i dati sugli U6;
- la durata dei contratti di somministrazione, al 2018;
- dati dall’OECD, sul tasso di disoccupazione, al 2018 (da controllare);
- disoccupazione: di chi è la colpa?
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