Per la rassegna #Cantami_o_Diva, dieci poesie che penso valga la pena leggere almeno una volta nella vita:
Kostandinos P. Kavafis – Senza titolo
Non ti ebbi e non ti avrò
forse mai. Qualche parola, uno sfiorarsi
come al bar l’altro ieri, niente di più.
È una pena, lo confesso. Ma noi dell’Arte
talvolta con la forza del pensiero, e certo solo
per un tempo breve, creiamo piaceri
che sembrano quasi fatti di materia.
Così al bar l’altro ieri – con l’aiuto
di una benevola ebbrezza –
ho avuto mezz’ora di assoluto erotismo.
E lo capisti mi parve,
e rimanesti apposta un po’ di più.
Era necessario. La fantasia
e la magia dell’alcol non bastavano;
avevo anche bisogno di vedere le tue labbra,
avevo bisogno di sentire il tuo corpo vicino.
Tutte le poesie (Donzelli, 2019), a cura di P. M. Minucci
Alen Bešić – Purgatorio
Ti supera la verità su te stesso,
quell’aggregato di piccole e grandi oscurità. Steso
da un muro all’altro, come il filo della biancheria
nella camera dei poveri, il desiderio fiacco: bisogna
riconciliarsi con la propria infanzia. Permettere
al ricordo feroce di dirsi: ti raccogli intorno
alle estati monche senza il padre, il vuoto generosamente
colmato dagli zii, nonni, nonne o lo stucchevole gusto di tulumbe
della pasticceria cittadina. Intorno al respiro sommesso
del quattrenne che lungo una ripida scala scende
come in purgatorio nella bettola fumosa e tra
i giocatori di tavla, da sotto in su, si sforza
di distinguere il viso familiare. E la sua vergogna
aghiforme, mentre ritorna da solo, compito non assolto,
per trasmettere alla madre un messaggio inventato: «Ha detto
di fare un altro giro.» Fra te
e lui – un’intera lingua. È una giornata di maggio.
Nella nassa delle costole si dibatte il cuore.
Golo srce [Cuore nudo], 2012 – Traduzione Marija Bergam
Mauro Marino – Senza titolo
Non so che farmene
della poesia mia
delle parole
che si fermano in gola
a sorprendermi
mi trovavo muto
a divagare
tensioni, non detti, sogni
e il tempo lo inseguo
dentro atti, attimi – sensi
che colgono vento e passioni
soltanto sguardi bastano a calmarmi
la sete e i suoni, ai respiri
non altro che sappia d’orgoglio.
di politica e d’amore (Spagine, 2020)
Lawrence Ferlinghetti – Populist Manifesto
For Poets, with Love
Poets, come out of your closets,
open your windows, open your doors,
you have been holed-up too long
in your closed worlds.
Come down, come down
from your Russian Hills and Telegraph Hills,
your Beacon Hills and your Chapel Hills,
your Mount Analogues and Montparnasses,
down from your foothills and mountains,
out of your teepees and domes.
The trees are still falling
and we’ll to the woods no more.
No time now for sitting in them
as man burns down his own house
to roast his pig
No more chanting Hare Krishna
while Rome burns.
San Francisco’s burning,
Mayakovsky’s Moscow’s burning
the fossil-fuels of life.
Night & the Horse approaches
eating light, heat & power,
and the clouds have trousers.
No time now for the artist to hide
above, beyond, behind the scenes,
indifferent, paring his fingernails,
refining himself out of existence.
No time now for our little literary games,
no time now for our paranoias & hypochondrias,
no time now for fear & loathing,
time now only for light & love.
We have seen the best minds of our generation
destroyed by boredom at poetry readings.
Poetry isn’t a secret society,
It isn’t a temple either.
Secret words & chants won’t do any longer.
The hour of oming is over,
the time of keening come,
a time for keening & rejoicing
over the coming end
of industrial civilization
which is bad for earth & Man.
Time now to face outward
in the full lotus position
with eyes wide open,
Time now to open your mouths
with a new open speech,
time now to communicate with all sentient beings,
all you “Poets of the Cities”
hung in museums including myself,
all you poet’s poets writing poetry
about poetry,
all you poetry workshop poets
in the boondock heart of America,
all you housebroken Ezra Pounds,
all you far-out freaked-out cut-up poets,
all you pre-stressed Concrete poets,
all you cunnilingual poets,
all you pay-toilet poets groaning with graffiti,
all you A-train swingers who never swing on birches,
all you masters of the sawmill haiku in the Siberias of America,
all you eyeless unrealists,
all you self-occulting supersurrealists,
all you bedroom visionaries and closet agitpropagators,
all you Groucho Marxist poets
and leisure-class Comrades
who lie around all day and talk about the workingclass proletariat,
qll you Catholic anarchists of poetry,
qll you Black Mountaineers of poetry,
all you Boston Brahims and Bolinas bucolics,
all you den mothers of poetry,
all you zen brothers of poetry,
all you suicide lovers of poetry,
all you hairy professors of poesie,
all you poetry reviewers
drinking the blood of the poet,
all you Poetry Police –
where are Whitman’s wild children,
where the great voices speaking out
with a sense of sweetness and sublimity,
where the great’new vision,
the great world-view,
the high prophetic song
of the immense earth
and all that sings in it
and our relations to it–
poets, descend
to the street of the world once more
and open your minds & eyes
with the old visual delight,
clear your throat and speak up,
poetry is dead, long live poetry
with terrible eyes and buffalo strength.
Don’t wait for the Revolution
or it’ll happen without you,
stop mumbling and speak out
with a new wide-open poetry
with a new commonsensual “public surface”
with other subjective levels
or other subversive levels,
a tuning fork in the inner ear
to strike below the surface.
Of your own sweet Self still sing
yet utter “the word en-masse” –
Poetry the common carrier
for the transportation of the public
to higher places
than other wheels can carry it.
Poetry still falls from the skies
into our streets still open.
They haven’t put up the barricades, yet,
the streets still alive with faces,
lovely men & women still walking there,
still lovely creatures everywhere,
in the eyes of all the secret of all
still buried there,
Whitman’s wild children still sleeping there,
Awake and walk in the open air.
Garium Press, 1975
Danilo Dolci – Rivoluzione
Chi si spaventa quando sente dire
“rivoluzione”
forse non ha capito.
Non è rivoluzione
tirare una sassata in testa a uno sbirro,
sputare addosso a un poveraccio
che ha messo una divisa non sapendo
come mangiare;
non è incendiare il municipio
o le carte in catasto
per andare da stupidi in galera
rinforzando il nemico di pretesti
Quando ci si agita per giungere
al potere e non si arriva
non è rivoluzione, si è mancata;
se si giunge al potere e la sostanza
dei rapporti rimane come prima,
rivoluzione tradita.
Rivoluzione è distinguere il buono
già vivente, sapendolo godere
sani, senza rimorsi,
amore, riconoscersi con gioia.
Rivoluzione è curare il curabile
profondamente e presto,
è rendere ciascuno responsabile.
Rivoluzione
è incontrarsi con sapiente sapienza
assumendo rapporti essenziali
tra terra, cielo e uomini: ostie sì,
quando necessita, sfruttati no,
i dispersi atomi umani divengano
nuovi organismi e lottino nettando
via ogni marcio, ogni mafia.
Creatura di creature (Corbo e fiore, 1983)
Franco Marcoaldi – VII
Voglio l’oceano che non ha memoria,
non voglio più la storia, visto
che tutto il tempo è eterno
tempo del presente, mentre
il vuoto, sempre più vuoto,
si riversa dove tutto è vuoto.
E scavo e scavo e scavo
e il vuoto si fa più vuoto ancora,
s’ingrossa il buco, di secondo
in secondo, di minuto
in minuto, di ora in ora.
Così, cosa ci resta? Ci restano
le piccole ossessioni. Sono
quelle a puntellare tante giornate
amare, mentre nelle grandi arcate
di ferro cedono le viti
si arrugginiscono le travi,
non tengono i bulloni.
Il mio tormento del momento?
Le condizioni del mio cuore.
Come sta? Va meglio?
Batte ancora? È scompensato?
E se sì, quanto? Dimmi la verità.
Tu parli sempre di ultime
questioni, ma qui a tenere banco
sono i tic, sono le fissazioni.
Che vanno e vengono. Occupano
tutto il campo e poi scompaiono.
Per un corpo da curare, c’è una pancia
da riempire. Certo, fa bene camminare,
ma diciamola tutta: com’è bello poltrire.
Notizie per informarsi,
notizie per stordirsi.
Fumare o non fumare?
Smettere, ricominciare.
È sufficiente distrarsi (ancora)
col crudo verso di cornacchia
(cra cra cra) e dai tarli
fisici e mentali si passa
al magro conto in banca,
al cinghiale (è il turno suo
stavolta) nascosto nella macchia.
È una tortura persistente,
sottile, che si spera di spegnere
in una quiete termale:
massaggi, docce, inalazioni,
fanghi – salutistico
ritorno nei ranghi.
…Meaning and moaning – oltre a tutto
il resto, tu mi hai insegnato
pure questo terribile gioco di parole,
senso e lamento, un’endiadi
involontaria che apre allo sgomento:
cerchiamo un varco, una ragione,
per l’appunto un senso,
ma sprofondiamo poi in un malessere
insidioso che procura il pianto.
E proprio non c’è da menar vanto
a vivere in un mondo
che non conosce vie d’uscita –
cominciare a giocare sapendo
che hai già perso la partita.
Per questo voglio l’oceano
che non ha memoria
e non voglio più la storia.
Se storia poi è questa
mediocrissima vicenda
in cui siamo impigliati.
Una frivola bufera incapace
perfino di dare sepoltura
agli annegati.
Quinta stagione. Monologo drammatico (Giulio Einaudi editore, 2020)
Carlo Betocchi – Tramonto
Rotonda terra; scena che si ripete,
in te, del saluto serale: consuetudine
mia planetaria, con te e i tuoi tramonti:
trasalimento, di tegola in tegola,
del mio vivere che se ne va col tuo
trapassare, lume diurno, lento,
sul tetto davanti casa; e mio formarsi,
intanto, un petto come di colomba;
e metter piume amorose per la notte
che viene; ravvolgermi unitario
con essa: pigolìo interiore; perdita
dell’umano: divenir mio universale.
Poesie del sabato (Mondadori, 1980)
Tiziano Scarpa – La gattarina
La gattarina
te se dice «gnaù» cu la vucetta,
te se fusa fusilla su le ginocchia,
te se face carezzà de carocaro,
ce s’alliscia de pillo e de lappio,
te ce face li runfi trifunfi.
«Gattarina bella,
chettevòi starceme su le ginocchie
picché ce vòi quacche cosilla?»
«Gnaunò».
«Chettevòi farceme li runfi trifunfi
sulo picché me ce vòi bbene?»
«Gnausì».
Iè furfa la gattarina.
Te ce cumanda cu li carezzi tuoi,
te se face deventà lu schiavo de li carezzi tuoi!
La gattarina
ce lu sape che tu tieni nu maliardo de carezzi,
e te ce scuppi a sfracellozzo si nun li poti sgravà.
Li carezzi che nun se potono sgravà
s’addeventano stiticanza custipata,
s’addeventano veleno.
Groppi d’amore nella scuraglia (Einaudi, 2020)
Bruce Hunter – Abstraction White Rose
The gardener never forgot the rose
in that art gallery years ago.
Blooms voluminous and inviting.
Painted by a brush dipped in clouds. Velvet entrance
and escape. Large as a table top.
O’Keeffe sees as he sees. And as he does in his work,
the gardener opens his palms
to cradle it. Until a guard cautions him.
Sir. Please. Do not touch the paintings.
To the gardener, A rose is not
a rose is a rose is a rose is a rose.
It is everything in everything. Upcurl of riptide.
Waterfall’s white lip. Conch’s pink mantle.
Miracle of eye, cornea. It’s all labia, throat and folds.
Vulva and stars, galaxies’ linen petals.
Within and beyond. A centre that gives
and comes from seed. Kiss’s wet hiss
in the slippery underbelly of night. Noir.
If you must lift them
cup the bud or the flower, at the cusp
gently. Be mindful of the thorns, always.
Their triangular blades can poison the blood
that feeds the heart and kill it.
His fingers brush against many small knives.
There is no fear in longing.
He’ll risk serving beauty one more time.
His eyes age-softened, and his lips too.
And at night when the trees sleep,
their fibrous heads in the ground,
they remember drought follows rain.
That at sunrise, his drowsy tongue laps dry air.
As the roses lift and reveal their thirst.
O’Keeffe is right. We emerge
from the turned-down underlip, breathless, blind.
Touched by dawn-sleek rosehips.
Delirious in all this raw new air.
to tipple again from a petaled cup.
Erri De Luca – Considero valore
Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario,
la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente
e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe,
tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordare di che.
Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord,
qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.
Opera sull’acqua e altre poesie (Einaudi, 2002)
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