Magari le Cose cambiano

Documentario, visto venerdì sera al cinema America occupato, che tratta di una delle periferie romane nate dalla speculazione edilizia: Ponte di Nona. Nonostante sia stato pubblicato nel 2009, questo documentario risulta attualissimo, anche alla luce degli ultimi avvenimenti di Tor Sapienza. Mostra, utilizzando il punto di vista di alcuni residenti che la raccontano in prima persona, la situazione di chi si trova in emergenza abitativa, cioè di chi bisogna delle case popolari. Il copione è sempre lo stesso: le case popolari di un’area urbana periferica che, per motivi socio-economici, diventa “centro”, vengono svuotate perché i costruttori, o chi per loro, rivendicano queste case, ora vendibili a prezzi più alti. Tutte le persone che prima erano state abituate a vivere in una determinata zona, di colpo si trovano ad essere spostate, in maniera coatta, nella nuova periferia. Con tutto ciò che questo comportaInfatti queste nuove periferie vengono tirate sù, con poco rispetto dei vincoli urbanistici e senza un’adeguata preparazione delle infrastrutture. Alla fine, chi ci guadagna comunque sono i costruttori che sfruttano le case diventate “centro” da un lato e l’emergenza abitativa dall’altro, perché li legittima a costruirne di nuove, foraggiati dai comuni. Il problema è molto complesso e io non penso di avere tutte le competenze necessarie per analizzarlo. Mi limito ad elencare alcuni miei giudizi/riflessioni, che questo documentario ha suscitato:

  • qual’è il limite tra le proprie mancanze di volontà, o i propri errori, e un’oggettiva colpa della società, nelle proprie disgrazie? In altre parole: la povertà è colpa nostra, o di una società ingiusta?
  • la casa è un diritto o no? E se è un diritto, quali sono i metodi con cui renderlo sostenibile?
  • questo documentario in alcuni punti è un po’ retorico. Non spiega fino in fondo e fa sembrare tutte queste persone delle vittime e mai dei carnefici. Però lascia degli ottimi spunti.

Infine, voglio spezzare una lancia in favore dei ragazzi/e che stanno occupando il Cinema America: mi sembrano molto in gamba e mi ha colpito molto la loro concretezza, che definirei post-ideologica. Edifici occupati ne ho frequentati tanti e di solito sono auto-referenziali. Si trasformano poco a poco in locali, la gestione non viene condivisa e alla fine muoiono. Invece, questi ragazzi/e mi sono sembrati poco retorici: l’idea di voler gestire, il prima possibile, questo spazio con un azionariato popolare, è giusta, semplice e concreta. Spero di non sbagliarmi…

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